Julieta, la protagonista, insegna filologia greca e la cogliamo mentre su un treno che fende la notte legge “La tragedia greca”. Un lungo viaggio in cui conoscerà la morte del passeggero che ha di fronte e il sesso giovanile con Xoan, da cui nascerà Antia.
Qui il destino prende le mosse . La vita di Julieta sará segnata dai sensi di colpa, da molteplici abbandoni, sia subiti che inflitti e da sei lutti.
Dapprima quello dello sconosciuto sul treno col quale si rifiuta di parlare e muore suicida, poi del compagno Xoan ; di entrambe le morti si sentirà a lungo responsabile senza riuscire a perdonarsi.
Ma abbandonerà successivamente anche il secondo compagno e, metaforicamente, pure il padre che verrà lasciato nell’oblio , perché colpevole, ai suoi occhi, di avere trovato una compagna e trascurato la madre malata.
Tuttavia Julieta subirà a sua volta la stessa sorte, vittima di una nemesi tragica : verrà abbandonata inspiegabilmente dalla amatissima figlia Antia. Anche lei non sá perdonare : se stessa per la propria omosessualità né la madre per l’abbandono del padre.
Il destino, tragico appunto, finirà per abbattersi però anche su Antia: pure lei, che aveva punito la madre abbandonandola, patirá della morte del figlioletto.
Quindi una storia di abbandono, morte e senso di colpa.
Ma la vera colpa, quella per la quale il destino si fa tragico, é che Julieta non sa perdonare se stessa e quindi neppure il padre e il compagno che la tradisce. Qui Almodovar scava sapientemente nel mondo femminile: donne sempre troppo critiche verso se stesse e conseguentemente verso il mondo verso cui dirigono la loro violenza.
Perché é proprio questa incapacitá di perdono che dà luogo alla violenza : quella della punizione più sottile e vigliacca: la dimenticanza e l’abbandono che gettano nell’oblio la vittima per nientificarla.
Una cifra tutta al femminile della violenza, in un film in cui gli uomini stanno nell’ombra così come ci ha abituato nelle sue opere Almodovar.
Tragedia e dolore in ambientazioni elegantissime, colorate e di grande impatto fotografico fino a rischiare di far apparire il film barocco e stucchevole.
Ma non è a caso.
Contrapponendo la ricercatezza degli ambienti e delle inquadrature, la luce e i colori della Spagna e delle sue architetture al “nero” della tragicità, il regista oppone la Bellezza alla morte.
Nota : il film si ispira a tre racconti di Alice Munro: Fatalità, Fra poco e Silenzio. Alcune scene riprendono i libri di Marguerite Duras e Patricia Highsmith. ” Le donne sanno raccontare il dettaglio”!
Questo credo sia il commento che mi è piaciuto di più tra quelli che ho letto relativi a questo film. Un film che, ammetto, mi ha deluso in un primo momento, ma che ho rivalutato ripensandoci (per una volta l’ho visto non in originale e forse la mia valutazione iniziale era dovuta al pessimo doppiaggio).
Vero, Almodovar si è ispirato ai racconti della Munro (che ho letto e amato), ma ha decisamente aggiunto il suo tocco personale nell’ambientazione/regia della storia e ha scelto un finale diverso, più ‘aperto’ se non luminoso: un viaggio verso il futuro che trasforma l’inutile attesa (‘eppur contro speranza spero’) della Munro in una possibilità più ‘concreta’ di una riunione/riconciliazione (?) madre/figlia.
Anch’io credo che il senso di colpa sia una delle ‘chiavi’ principali di lettura/interpretazione di questo film. Noi donne possiamo rovinarci la vita per un senso di colpa… e questo mi ricorda un libro stupendo che Le consiglio caso non l’abbia letto:’ The Story of Lucy Gault’ di William Trevor.
Un senso di colpa che si unisce all’incapacità di comunicazione ‘reale’ tra i protagonisti. Ognuno vede/legge l’altro per come crede sia o vorrebbe fosse e non per quello che è, ognuno si aspetta che l’altro ‘capisca’ quello che prova.
Inoltre, pur se meno rilevante rispetto ai racconti della Munro, c’è la componente del ‘giudizio’ sociale, di cosa pensano gli altri di noi.
I personaggi maschili, in effetti, sono ‘da supporto’, Lorenzo Gentile (nome credo non scelto a caso) è una sorta di spettatore interno, calmo e paziente, del dramma di Julieta.
Una nota solo sulla sua scelta del termine ‘mimesi’, io opterei per ‘nemesi’.
Complimenti per il blog. L’ho scoperto casualmente leggendo un suo commento su ‘Stoner’ di John Williams, altro libro che ho a dir poco adorato.
Donatella