Eravamo in quattro a veder questo film. Eppure la critica ne parla gran bene. Concordo!
Il tema di fondo è di natura metafisica. Ho sentito echeggiare Heiddeger quando improvvisamente gli umani, con un sms, apprendendo la data della propria morte possono capire e forse godere appieno la vita.
Ma un tema così arduo, qui é diventato leggero, ironico, spiritoso.
Da un lato il riscatto del proprio senso di esistere dei sei “nuovi apostoli” alla luce della consapevolezza della durata della propria vita raccontato in sei episodi che si incrociano e dall’altro un Dio cinico e malevolo che li vuole inconsapevoli e quindi sue vittime.
La madre-moglie ne controbilancia la cattiveria. Mossa da pietà ridá sul finale speranza agli uomini cancellando il loro destino di morte preannunciata.
Surreale ed onirico, ingenuo e colto Jaco Van Dormael sa parlare di argomenti urticanti e impopolari ad un pubblico in preda al terrore del niente che si accompagna alla morte suggerendo che é proprio nella prospettiva della morte che ci appare l’autenticità della vita.
Tuttavia il regista si presenta a questo appuntamento esistenziale risolvendolo in mera chiave psicoanalitica.
Non c’è alcuna ricerca di senso, nè una riflessione filosofica. Egli sembra suggerire che basta ritrovare e realizzare i desideri più profondi per superare così le frustrazioni che rendono così tristi le vite dei sei personaggi.
C’è chi si immerge in un viaggio tra luoghi e paesaggi incontaminati fino al polo nord e chi ritrova l’amore della propria vita.
Oppure la Deneuve che sceglie come compagno un orango, immagine selvaggia e primordiale per una contestazione radicale ad una vita borghese.
Forse troppo poco per le attese che un tema così poteva suggerire fin dall’inizio.
Mi sovviene L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello; il dimorare nelle piccole cose e nei piccoli gesti. La lentezza come nuova dimensione. Ecco a questo Jaco Van Dormael non riesce ad arrivare.